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" Esultate interisti, la nostra vittoria è vicina! Lo strapotere del Milan e del Berluscka va verso il tramonto! Per noi si aprono stagioni di grandi vittorie! Il nostro ideale è puro! Noi siamo liberi e azzurri come l'aria!"

LA VOGLIA DI LIBERTA', DI INDIPENDENZA E DI TRASPARENZA AL DISPOTISMO DEL MILAN COMUNISTA, HA FATTO NASCERE UNA FORTE SQUADRA DI FORTI E VERI IDEALI: L'INTER!

All'inizio del secolo i veri derby, a Milano, non esistevano proprio. Allora, c'era unicamente il "Milan Cricket and Football Club". Fino a che, nel marzo del 1908, per la precisione la sera del giorno 9, sorse il "Football Club Internazionale Milano". L'Inter nacque così. Internazionale perchè aperta a giocatori non solo italiani (il primo capitano, Manktl, era svizzero), figlia di un gruppo di contestatori del nucleo originario, fiera del nuovo simbolo dipinto dal pittore Giorgio Muggiani. I colori scelti allora, oro, nero e azzurro, sono ancora nella storia della società. A reggerne le sorti fu un veneziano, Giovanni Paramithiotti. Il primo scudetto di un campionato in cui anche la Pro Vercelli dava del filo da torcere arrivò due anni dopo, con la disfatta dei piemontesi per 11-3. All'alba di una guerra mondiale che sconvolse tutto, e bloccò vite e campionati disperdendoli nelle distruzione totale, il presidente era Giuseppe Visconti di Modrone. Poi la guerra prese forza davvero. Virgilio Fossati, il capitano di quel primo scudetto, fu uno dei calciatori partiti per il fronte e mai più tornati a casa. Dev'essere stato difficile riprendere contatto con la realtà e ricostruirsi, dopo. Ma ci sarà stato anche sollievo nel constatare che c'era ancora spazio e respiro per i sogni, grandi e piccoli. L'Inter ritrovata si batte alla grande. Vince il secondo scudetto nel primo campionato organizzato nel dopoguerra. L'avversario è il Livorno, sconfitto per 3-2 il 20 giugno del 1920. Poi vengono gli anni del fascismo. Senza spazio alle obiezioni. E l'Internazionale forse è troppo aperta all'estero. Sta di fatto che deve fondersi con l'Unione Sportiva Milanese, cambiare nome e maglia. Prende forma l'Ambrosiana. La maglia è bianca, rossocrociata. All'Arena, però, i tifosi continuano a urlare "Forza Inter". Il 2 dicembre 1932 la squadra ottiene la possibilità di abbinare i due nomi, nasce l'Ambrosiana-Inter. Vent'anni dopo il primo scudetto e dieci dopo il secondo, arriva nel '30 il terzo. Sono i giorni di Giuseppe Meazza, che firma anche i successi della Nazionale ai Mondiali del '34 e del '38, e sigla il quarto scudetto interista ('38) e la prima Coppa Italia del '39. Nel '40 però l'astro di Meazza si oscura, lui si infortuna e la squadra ne deve fare a meno per tutta la stagione agonistica. Una lotta serrata con il Bologna, ma alla fine, il 2 giugno del 1940, sono i milanesi a spuntarla all'ultima giornata. Gol di Ferraris II. Sarà proprio questa partita a restare impressa nella mente degli italiani come uno degli ultimi momenti di normalità. Otto giorni più tardi, Benito Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia al fianco della Germania nazista. Il campionato prosegue a dispetto di tutto fino al giugno del '43. Poi, ancora una volta, i campi di calcio restano deserti.Ci vogliono anni per riprendere a sognare. A reggere il club, dal luglio del '42, è Carlo Masseroni. La società si affranca dal nome "Ambrosiana", riprende l'originaria denominazione "Internazionale", anzi per tutti, dall'ottobre del '45, si conferma semplicemente "Inter". Giuseppe Meazza consuma le sue ultime stagioni al Milan ed alla Juventus, poi lascia il calcio. Ha segnato 224 volte per l'Inter su un totale di 248 gol. La città di Milano non lo dimenticherà mai. Lo stadio dove attualmente giocano sia Inter che Milan, ristrutturato per il Mondiale di Italia '90 con l'edificazione di un terzo anello che ha portato ad una capienza complessiva di 85.000 posti, porta infatti il suo nome. La prima metà degli anni cinquanta è sotto il segno di Armano e "Veleno" Lorenzi, dell'olandese Wilker, dello svedese "Nacka" Skoglund e dell'ungherese-apolide Nyers. Un attacco fortissimo, un portiere inaffondabile, Giorgio Ghezzi "il Kamikaze", una guida sicura, quella dell'allenatore Alfredo Foni: è il 1953, l'anno del sesto scudetto, seguito nel '54 dal settimo. Nel maggio del '55 Masseroni passa la mano. Angelo Moratti, petroliere, diventa presidente del Football Club Internazionale. Non sa ancora che entro pochi anni sarà, in assoluto, il Presidente. Con lui l'Inter andrà alla grande, si muoverà davvero sulle ali di un sogno che nessuno è mai riuscito a dimenticare. Eppure all'inizio Milan, Juventus e Fiorentina sembravano fortissime. Arrivano Massei, Vonlanthen, Firmani. Si avvicendano allenatori, nelle pause c'è sempre il grande Meazza pronto a dare una mano. Ma l'Inter non va bene. Nel 1957, acquistato per novanta milioni, sbarca a Milano l'argentino Antonio Valentin Angelillo, cresciuto al Boca di Buenos Aires. L'anno seguente, realizza in campionato ben 33 gol. Un record tuttora imbattuto, che però vale all'Inter solo il terzo posto dietro a Milan e Fiorentina. Angelo Moratti non cede, mai. Crede alla sua squadra probabilmente con la stessa forza che ha messo nella professione. Non è solo, in questa avventura. Minuta, elegante, passionale nel suo essere sempre e comunque con la squadra e col marito, Erminia Moratti è stata più di un'alleata, più di una madrina. È stata la signora dell'Inter. Lei, proprio lei, ha organizzato vigilie di Natale in cui tutti i ragazzi - la Grande Inter, per il pubblico, ma in fondo dei ragazzi - andavano a cena dal presidente e si sentivano a loro agio. Lei ha fatto di una squadra una famiglia. Lei, con i suoi figli, tutti insieme con Angelo, nel nome dell'Inter: Adriana, Gianmarco, Massimo, Bedy, Gioia e poi Natalino, incontrato nelle estati trascorse a Levico e portato a Milano per non lasciarlo più. La fine degli anni cinquanta segna la svolta. Nel '58, a sedici anni e mezzo, entra fra i giovani Mario Corso. Nel '60 arrivano Italo Allodi e Helenio Herrera. Il primo si occupa della società, ha lavorato al Mantova e il Presidente ne ha colto al volo le capacità. Detterà legge sul mercato per quasi vent'anni. Quanto a Herrera, è un duro. Quasi nessuno sa nulla di lui, tranne che allenava in Spagna. Meticoloso, attento a tutto, implacabile con la squadra, ha sotto gli occhi l'Inter ma in testa il calcio di tutto il mondo. Herrera sa tutto. Alla fine del campionato '60/61 la Juventus soffia il titolo all'Inter, quell'anno succede di tutto, viene sospesa una partita per invasione di campo, data vinta all'Inter a tavolino per 0-2, rimessa in gioco a torneo finito. Persa: per forza, l'Inter ha mandato in campo provocatoriamente i giovani della squadra Primavera. La Juventus fa 9 gol. L'Inter 1. Ma lo segna Sandro Mazzola, come se il suo fosse un destino annunciato. Esordisce Giacinto Facchetti. Ritrovano fiato e orgoglio Picchi, Burgnich, Zaglio. E' l'addio, invece, per Angelillo, seguito da Lindskog e Firmani. Arrivano Bettini, Hitchens e Suarez. Nel '62/63 inizia l'era nerazzurra, con la conquista dell'ottavo scudetto. Dicono che sia stato proprio il Presidente a dare la formazione decisiva, con l'inserimento di Bugatti, Bolchi e Maschio al posto di Buffon, Zaglio e Di Giacomo. L'anno dopo il Bologna va forte, ma l'Inter non è da meno. A due punti dai rossoblu, invischiati in una pesantissima storia di doping, i nerazzurri riconquistano la vetta della classifica. In quella che poi è stata chiamata "la Pasqua di sangue", battono il Bologna. Ma in mezzo a polemiche, minacce dei tifosi, schermaglie dai giornali, la Federazione ritira l'accusa di doping e restituisce tre punti al Bologna. Le due squadre sono pari. Prima dello spareggio, il Prater di Vienna ospita la finale di Coppa dei Campioni. Siamo nel 1964. Contro il Real Madrid, l'Inter vince 3-1. Due gol sono firmati da Mazzola e uno è di Milani. Non è solo gioia, quella fermata dalle immagini in bianco e nero di quei primi anni sessanta. E' entusiasmo, è passione,è il successo inseguito con tenacia, afferrato con forza, conquistato con sicurezza. Dieci giorni dopo, però, il Bologna ha la meglio nello spareggio per lo scudetto. Ma l'Inter adesso non si ferma più. Diluvia a Madrid, nello spareggio per la conquista della Coppa Intercontinentale contro gli argentini dell'Independiente, vincendo per 1-0, dopo lo 0-1 di Buenos Aries e il 2-0 di San Siro. Si va ai supplementari. Mario Corso decide la partita. Di sinistro, naturalmente. Alla fine, Milani, Facchetti e Domenighini sollevano il trofeo in segno di vittoria. L'Italia può attendere, ma non troppo. Nel '64/65 arriva il nono scudetto, ed esattamente come un anno prima, a dieci giorni dalla fine del campionato italiano, c'è la vittoria in Coppa dei Campioni. Eliminato in semifinale il Liverpool, con un 3-0 di Corso, Peirò ;e Facchetti, in una sera illuminata a giorno dal tifo di San Siro e assordante di passione, l'Inter annienta il Benfica con un gol del brasiliano Jair. Ma l'Inter vuole sempre di più: è ancora l'Independiente a soccombere, per la seconda volta la Coppa Intercontinentale è nerazzurra: il presidente Angelo Moratti e l'allenatore Helenio Herrera hanno un ottimo motivo per festeggiare. Il decimo scudetto, quello della stella, è con capitano Picchi. Chiude il campionato '65/66. Annuncia anche la fine di un'era. Due anni dopo, il Presidente regala il suo sogno a Ivanoe Fraizzoli e lascia. Lascia perchè sente che è il momento giusto per andarsene. Non abbandonerà mai l'Inter. Né la famiglia.Continueranno a seguire negli anni i ragazzi. Dev'essere per questo che oggi, se si chiede qualcosa dei Moratti a Facchetti, a Suarez, a Corso, a Mazzola, non arriva mai una risposta scontata. Adesso che gli anni sono passati, che c'è da parte loro una vena di malinconia sottile nel vedere le immagini sgranate in bianco e nero di quelle partite, la stessa che si prova sempre per qualcosa che è passato e non tornerà più, ora che nella società sono rientrati senza potersi battere sul campo, ma contribuendo come dirigenti alla crescita del club, riescono ancora a commuoversi parlando di una famiglia che hanno davvero sentito come fosse la loro. Il resto è storia recente. Sparito Helenio il Mago, sostituito prima da Foni, poi da Heriberto Herrera e da Gianni Invernizzi, nel '70/71 arriva l'undicesimo scudetto. Otto anni dopo, la vittoria in Coppa Italia con gol di Altobelli e Bini contro il Napoli. Il dodicesimo scudetto, con Bersellini allenatore, è del campionato '79/80. Fraizzoli lascia con un'ultima vittoria, la terza Coppa Italia. E' la volta di Ernesto Pellegrini presidente, che si presenta ai tifosi con Karl Heinz Rummenigge e dopo due anni affida la squadra a Giovanni Trapattoni. Sotto il segno della Germania (arrivano anche Matthaeus e Brehme), nella stagione '88/89 con Zenga, Bergomi, Ferri, con Alessandro Bianchi, Berti e Diaz, in 34 partite l'Inter realizza 58 punti (la vittoria valeva ancora due punti) e realizza lo scudetto dei record. L'anno successivo arriva la Supercoppa italiana, e la primavera del '90 il campionato si chiude con l'ammissione in Coppa Uefa. Il 22 maggio 1991, ventisei anni dopo l'ultima vittoria internazionale, l'Inter torna al successo in Europa, battendo la Roma: segnano nel primo confronto Matthaeus e Berti, a nulla può il ritorno dove la Roma riesce ad andare in gol solo una volta. Ed è ancora Coppa Uefa nel '94, in una piovigginosa sera di maggio. L'avversaria è il Casino Salisburgo, battuto per ben due volte 1-0, con gol a Vienna di Berti ed a San Siro di Jonk. Poi, ci sono stati i giorni del ritorno. Di qualcosa lasciato, ma mai abbandonato. Dal 18 febbraio 1995 l'Inter è ancora sotto il segno dei Moratti. Si chiama Massimo, il nuovo presidente, figlio terzogenito di Angelo. Chi li ha conosciuti entrambi, dice che del padre ha il sorriso, la generosità, il modo di contrarre la bocca quando è teso. Sicuramente, di quell'Angelo passato alla storia come "il Presidente", ha il cuore. Ne ha assorbito lezioni di vita che non dimentica. L'ha avuto accanto amandolo, stimandolo, dividendo con lui giorni grandi. E l'Inter. Che ora è di nuovo in famiglia.

Mancini,  Fontana, J.Zanetti, Cordoba, Materazzi, Favalli, Stankovic, C.Zanetti, Cambiasso, Emre, Vieri, Adriano, Martins : 13 ribelli con la voglia di vincere in nome della libertà e dell' indipendenza.

by Roger  

 

L' Inter ha sempre avuto la possibilità di grandi vittorie, ma non lo sono mai state messe in pratica. I bastoni tra le ruote all' Inter c'è li hanno messi un pò tutti, dal Milan, alla Juventus e da altre squadre molto importanti che si sentivano scavalcare dalla forza di libertà e di indipendenza dell' Inter. Poi sono intervenuti altri fattori e basandosi solo ed esclusivamente su soldi e niente più! Solo invidia e gelosia, per una squadra di onestà e trasparenza com'è l'Inter. Per il Milan altezzozo e superbo, la squadra dell'Inter è sempre stata una squadra rivale da poter sopravalere ad ogni costo, con qualsiasi ausilio e mezzo, perchè l'Inter è sempre stata una squadra forte e vincitrice e con lei bisognava vincere ad ogni costo.  by Roger  

 

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